Quando si tratta di prendere una decisione di acquisto tra più beni o servizi appartenenti alla stessa classe merceologica, i consumatori sono guidati da diversi fattori, come la qualità e il grado di fiducia percepite dell’azienda, l’efficienza del servizio clienti, le strategie di vendita e di marketing attuate.

Acquistare un prodotto è essenzialmente un’azione emotiva, in cui la scelta da parte del cliente ricade nella maggior parte dei casi sul bene di un’azienda a lui nota.

Nel variegato e competitivo mercato attuale, a spuntarla è l’azienda che, meglio delle altre, avrà saputo creare una connessione con i suoi clienti, stabilire con loro un rapporto di fiducia e differenziarsi dalla concorrenza.

Dal valore percepito dipende la capacità di un’azienda di fidelizzare i clienti, intesa come quella serie ordinata di pratiche finalizzate a spingere il consumatore ad acquistare in maniera continuativa nel tempo, e di trovarne di nuovi.

Da queste premesse, risulta evidente quanto per un’impresa sia preminente rendersi riconoscibile e distinguersi dai concorrenti che si muovono all’interno dello stesso settore merceologico. Senza un elemento differenziante alla base, verrebbe meno la sostenibilità dell’intero business e si vanificherebbero sul nascere le campagne di marketing finalizzate a ottenere notorietà e feedback positivi da parte della clientela.

L’elemento differenziante che attribuisce senso a tutto il resto altri non è che il marchio. Pertanto, in questo articolo, imperniato sui rischi che le aziende corrono nel digitale, si tenterà innanzitutto di offrire gli strumenti per muovere un solido primo passo attraverso la condivisione delle indispensabili informazioni per la registrazione del marchio. Per una guida pratica e ulteriori informazioni consigliamo di visitare https://registrareunmarchio.it/, dove è anche possibile richiedere un preventivo per la registrazione del marchio.

Come specificato nell’articolo 7 del codice delle proprietà industriali, per marchio si intende un qualsiasi tratto testuale, grafico, numerico, di suono o risultante dalla combinazione di due o più degli elementi precedenti. L’estensione tanto ampia dell’accezione di marchio nasconde la volontà di includere al suo interno qualsiasi elemento capace di distinguere i servizi o prodotti di un’impresa da quelli di un’altra.

Il marchio è il telaio su cui poggia l’intera infrastruttura aziendale; pertanto, qualsiasi minaccia rischi di minarne la stabilità merita di essere presa in seria considerazione. È il caso della contraffazione, ossia l’insieme di attività fraudolente mirate alla riproduzione e alla vendita di prodotti sotto falso nome. I contraffattori, sfruttando il nome di un brand noto per vendere merce falsificata, danneggiano sia il cliente finale, che si ritrova tra le mani un prodotto di dubbia qualità, sia l’azienda, che rischia di veder vanificati gli sforzi profusi per costruire un rapporto continuativo con la sua clientela.

I rischi legati all’uso del marchio online

Se da una parte lo sviluppo della rete e del commercio elettronico ha aperto alle aziende nuove porte, nuovi spazi e mercati in cui vendere prodotti e servizi, dall’altra le ha anche esposte a ulteriori minacce.

Nel passaggio al digitale, l’esigenza delle aziende di emergere e rendersi riconoscibili si è persino rafforzata.

Quando un’azienda decide di condividere e diffondere la propria presenza online, lo fa attraverso un marchio digitale. Il web è una risorsa dalle illimitate potenzialità per un’impresa ma anche un motivo di preoccupazione, in quanto più alta è l’esposizione, maggiori sono le possibilità di essere presi di mira da falsificatori, contraffattori e malintenzionati.

Tra i principali fattori di rischio per un’azienda nel digitale troviamo il cybersquatting e il typosquatting.

I suddetti termini circoscrivono le attività truffaldine di coloro che registrano nomi di dominio corrispondenti a marchi famosi o personaggi di spicco. L’obiettivo è quello di ingannare i consumatori, facendo loro credere di essersi messi in contatto con l’azienda originale, piuttosto che con dei soggetti terzi.

Nello specifico,

  • il typosquatting fa leva sulla distrazione degli utenti e sulla velocità con cui si effettuano solitamente le ricerche online, apportando leggere modifiche ai tratti distintivi di un’azienda e dirottando i malcapitati su un sito di destinazione diverso da quello ufficiale senza che questi se ne accorgano.
  • Il cybersquatting comporta invece la registrazione, per fini speculativi, di un nome di dominio identico al marchio originale su estensioni web (per esempio, .net, .com ecc.) non ancora occupate, sfruttando la sventatezza di quelle aziende che non hanno prontamente provveduto a registrare tutte le principali variabili del loro marchio.

A proposito di cybersquatting, curioso fu il caso che vide contrapposti Microsoft e MikeRowesoft, in cui il colosso americano sostenne che il giovane canadese aveva sfruttato e approfittato della somiglianza fonetica tra il suo nome e quello della compagnia per tornaconto personale.

La disputa si concluse in maniera bonaria, giacché il clamore mediatico stava seriamente rischiando di danneggiare l’immagine della grossa multinazionale che, agli occhi dell’opinione pubblica, stava peccando di eccessiva intransigenza nei confronti di quello che, in fondo, era soltanto un ragazzino delle medie.

Un’ulteriore minaccia per le aziende che operano online è rappresentata dal:

  • Brandjacking, un fenomeno che riguarda i tentativi da parte di malintenzionati di appropriarsi dell’identità digitale di un’azienda tramite la violazione del marchio o il furto del dominio.

In genere, lo scopo di condotte simili è quello di screditare l’operato di un’azienda e di comprometterne la reputazione.

Quando va a segno, il brandjacking è in grado di causare enormi danni patrimoniali e di immagine alla persona o all’azienda prese di mira.

Basti pensare a cosa potrebbe accadere al valore delle azioni di una società quotata in borsa o al consenso e all’indice di gradimento di un uomo politico colpiti da brandjacking. Un famoso caso di Brandjacking fu quello di Oxfam, che nel 2013 coordinò una campagna diffamatoria nei confronti di Coca Cola, strumentalizzando uno spot del colosso americano in cui, a giudizio dei promotori della campagna, si evidenziavano alcune pratiche della compagnia tutt’altro che eco-friendly.

Altre pratiche capaci di danneggiare l’immagine e il patrimonio di un’azienda hanno a che fare con il dirottamente del traffico web, in genere tramite l’utilizzo di un insieme di tecniche che ricade sotto il cappello della black seo.

I malitenzionati sono soliti utilizzare tecniche black hat per deviare il traffico di clienti in entrata sul sito dell’azienda titolare del marchio verso altri siti. Il fine ultimo è quello di lucrare sull’errore dell’acquirente, sfruttando la notorietà e l’affidabilità del marchio contraffatto. Tra le tecniche della black seo utilizzate per aggirare i sistemi di sicurezza previsti dai motori di ricerca vi sono l’utilizzo di keywords, il desert scraping, le pagine doorway o gateway, testi ingannevoli e link di spam. Nello specifico:

  • Le keywords. Utilizzate dagli utenti per cercare informazioni o effettuare acquisti sui motori di ricerca. Per intercettare gli utenti e dirottare traffico sul proprio sito, il contraffattore utilizza le keywords riconducibili al marchio originale.
  • Pagine doorway o gateway. Sono quelle pagine web di atterraggio create con il solo scopo di essere indicizzate dai motori di ricerca e deviare gli utenti su siti terzi. Non hanno alcuna utilità, se non quella di reindirizzare gli utenti verso il sito del falsificatore. Una delle vittime più celebri di questa pratica fu BMW, che nel 2006 venne deindicizzata da Google proprio a seguito degli attacchi ricevuti.
  • Desert scraping. Riguarda l’utilizzo di contenuti deindicizzati dai motori di ricerca. Questa pratica comporta l’uso di domini scaduti per entrare in possesso della lista utenti entrati in contatto con quel dato dominio quando era ancora attivo. Si tratta, in buona sostanza, di un tentativo di recupero e ripristino di tutte le attività che avevano avuto luogo su quel dominio prima della deindicizzazione;
  • Link spam e testi occulti. Si tratta di testi che vengono nascosti all’interno di una pagina web, invisibili agli utenti. Affinché non si veda, al testo viene assegnato lo stesso colore dello sfondo della pagina e al suo interno vengono agganciati link spam, che vengono a loro volta resi invisibili tramite Javascript.

Dopo aver tratteggiato i contorni entro cui le aziende si trovano a operare e i rischi a cui sono esposte nel digitale, proseguiamo con una breve disamina sugli strumenti di tutela, di tipo giudiziale e stragiudiziale, che consentono ad aziende e imprenditori di proteggere il proprio marchio dagli illeciti dei soggetti terzi.

Tutela stragiudiziale del marchio online

In Italia c’è ancora molto da fare in merito alla tutela dei marchi digitali, anche se, fortunatamente, qualche timido passo nella giusta direzione è stato recentemente compiuto.

In altri Paesi la situazione è ben diversa. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno introdotto già a partire dal 1999 una legge federale, l’ACPA (Anticybersquatting Consumer Protection Act) che consente ai titolari dei marchi registrati di tutelarsi contro gli attacchi di cybersquatting.

L’omologo italiano dell’ACPA è rappresentato dal Registro .IT, che ha sede a Pisa, all’Istituto di Informatica e Telematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Per avere una comprensione sommaria ma immediata del Registro .IT, lo si consideri alla stregua di un’anagrafe dei domini internet.it.

Attraverso il registro, vengono gestite le pratiche di contestazione sull’assegnazione e riassegnazione di un dominio. Tramite queste ultime, il registro verifica che un dominio sia libero o che non sia sfruttato per attività illecite. La procedura di verifica viene effettuata su richiesta di un soggetto che abbia avanzato opposizione per vedersi riassegnare un dominio, ma non preclude che le parti possano ricorrere all’autorità giudiziaria o all’arbitrato. Se invece le parti hanno optato per la via giudiziale fin dall’inizio o se sono già in attesa di giudizio, non potranno richiedere e attivare la procedura di riassegnazione.

Tuttavia, in Italia, la forma di protezione più efficace per la tutela del marchio è la registrazione.

Chiunque, si tratti di una persona fisica o giuridica, di un ente o un’associazione, può richiedere e inoltrare una domanda di registrazione del marchio. Possono richiederla anche i minorenni e gli stranieri, purché possiedano regolare domicilio in uno dei Paesi UE. Prima di inoltrare la domanda occorre:

  • Assicurarsi che il marchio soddisfi i requisiti di originalità, liceità, novità e verità come da disposizioni di legge.
  • Assegnare la giusta denominazione ai propri prodotti o servizi sulla base della Classificazione di Nizza, un elenco internazionale in cui a ogni classe merceologica è assegnato un numero identificativo univoco.
  • Effettuare un’accurata ricerca di anteriorità per esser certi che il proprio tratto distintivo non leda i diritti di proprietà altrui.

A seconda dell’area territoriale in cui ha validità, un marchio si distingue in:

  • Marchio nazionale. Valido su tutto il territorio nazionale. In Italia, la registrazione avviene tramite l’Ufficio Italiano Brevetti o presso gli uffici delle Camere di Commercio;
  • Marchio comunitario. Valido in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Il marchio registrato presso l’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale) riceve protezione legale in tutti i Paesi dell’Unione Europea.
  • Marchio internazionale. Valido in tutti i Paesi che hanno aderito al Sistema di Madrid. L’estensione internazionale del marchio avviene tramite gli uffici della WIPO. Per estendere la tutela del marchio ai Paesi extra Ue che non hanno aderito al protocollo di Madrid, l’unica soluzione è quella di inoltrare la domanda singolarmente, Paese per Paese, rifacendosi alla giurisdizione e alla procedura specifica del caso.

Altri strumenti di tutela

La registrazione di un marchio non è obbligatoria, ma fortemente consigliabile, perché impedisce a terzi l’utilizzo del marchio registrato.

Rappresenta, nella pratica, la più alta forma di protezione per un’azienda, anche in virtù delle modifiche apportate all’art. 20 del codice delle proprietà industriali dal Decreto Legislativo n.15/2019, che permettono al proprietario del marchio registrato di impedire ai terzi l’utilizzo di un tratto distintivo uguale o simile anche per fini diversi da quelli di tipo commerciale.

Un’altra forma di tutela è data dalla possibilità di opporsi alla registrazione del marchio altrui; una procedura introdotta dal Decreto Legislativo 30/2015. In seguito alla richiesta di deposito del marchio, l’UIBM procede alla pubblicazione. Nel concreto, significa che chiunque può prendere visione del marchio per cui è stata inoltrata la domanda e contestarlo, opponendosi alla sua registrazione tramite una procedura amministrativa, se lo ritiene opportuno.

L’opposizione alla registrazione del marchio va presentata presso gli uffici dell’UIBM, che la elabora e ne verifica l’ammissibilità. La procedura può concludersi con il raggiungimento di un accordo tra le parti o tramite l’UIBM stessa, che deciderà se accogliere o respingere l’opposizione.

La registrazione del marchio e l’attivazione di procedure di tutela come quella di opposizione sono certamente misure di grande utilità e valore, ma non sufficienti. Per impedire utilizzi illeciti del marchio è anche fondamentale gestire e monitorare con attenzione la presenza online dell’azienda, sia sui siti web che sui social network. Per farlo, è necessario richiedere tramite le apposite procedure, diverse da piattaforma a piattaforma, l’autenticazione e la verifica del proprio account.

Un altro strumento di tutela del marchio è costituito dalla domanda di sorveglianza e monitoraggio che è possibile presentare all’Agenzia delle Dogane. L’obiettivo è quello di attivare il controllo doganale sui prodotti di cui si sospetta la contraffazione, così da bloccarne tempestivamente l’importazione per poi procedere in un secondo momento alle vie legali.

Prima di dar corso a un’azione giudiziaria, sarà bene muoversi in via stragiudiziale tramite una lettera di diffida e, in un secondo momento, tramite l’arbitrato o la mediazione. Qualora qualsiasi tentativo di risoluzione bonaria dovesse dimostrarsi infruttuoso, non si avrà altra scelta se non adire all’autorità giudiziaria.

Tutela giudiziale del marchio online

Alle volte nonostante l’azienda sia stata vigile e alacre nell’attivare le precauzioni del caso e nel ricorrere a tutti gli strumenti di protezione del marchio, i contraffattori potrebbero ugualmente riuscire a utilizzare indebitamente il marchio digitale.

Una prima criticità riguardante l’instaurazione di giudizi rivolti alla tutela del marchio digitale ha avuto come oggetto la ricerca dei criteri per individuare il foro competente.

La suddetta questione, con un’ordinanza del 16.01.2016 ha fatto chiarezza il Tribunale di Torino, che ha reso noto che, quando la contraffazione avviene online attraverso un sito internet, l’articolo 120 del c.p.i. non può ammettere, per via della a-territorialità di internet, che venga avviato un procedimento giurisdizionale presso uno sede qualsiasi del foro nazionale, ma deve rifarsi – e derogare – alle regole generali della competenza per permettere il radicamento della causa nel luogo dove questa ha un effettivo legame.

L’articolo 120 del c.p.i specifica che è possibile proporre le azioni che si fondano su fatti che si presume ledano i diritti d’autore anche di fronte all’autorità giudiziaria che abbia una sezione specializzata nella cui circoscrizione le azioni sono state commesse.

Il Tribunale di Torino ha stabilito che il luogo in cui è stato commesso il fatto è da intendersi sia come il luogo in cui è avvenuta la condotta che quello in cui si sono prodotti e avvertiti gli effetti pregiudizievoli della stessa, purché detto luogo mostri un chiaro collegamento con la controversia che ammetta l’incardinamento del giudizio in un foro diverso da quello disposto dalle regole generali.

Nel caso un soggetto ritenga che ci siano i presupposti per denunciare una violazione del marchio, può intraprendere due diverse tipologie di azione:

  • Azione di decadenza e di nullità: è un’azione regolata dall’art. 120 e ss. del Decreto Legislativo n. 30/2005, che ha l’obiettivo di ottenere una dichiarazione di nullità del marchio poiché sussistono dei diritti anteriori o perché è in atto una violazione del diritto d’autore e del diritto di proprietà industriale o perché la registrazione del marchio è stata avanzata da un soggetto che non ne aveva diritto.
  • Azione di contraffazione: si tratta di un’azione regolata dall’articolo 120 e ss. del Decreto Legislativo n. 30/2005 sul Codice della Proprietà Industriale e dall’articolo 473 del Codice penale. Con il Decreto Legislativo n. 15/2019 è stato aggiunto l’articolo 122 bis al c.p.i. che disciplina la legittimazione all’azione contraffattiva a nome del licenziatario di un marchio aziendale che viene autorizzato a procedere tramite il consenso del proprietario o quando questi non proponga, entro i termini previsti dalla legge, un’azione di contraffazione. L’azione è rivolta all’ottenimento della conclusione dell’illecito, del risarcimento per i danni arrecati al proprietario del marchio, del blocco, del ritiro dal commercio e della distruzione della merce contraffatta.

Conclusione

In virtù di quanto emerso in questo articolo, preme sottolineare quanto sia ormai preminente adeguare la normativa italiana sulla tutela del marchio al sempre mutevole mercato digitale.

Le soluzioni atte a proteggere il marchio online sono attualmente insoddisfacenti, alle volte persino inadeguate, poiché non sono in grado di fornire una protezione tempestiva e completa alle vittime di contraffazione del marchio.

Sebbene, grazie all’introduzione della normativa UE 2015/2436, siano stati compiuti alcuni progressi in tal senso, vi è ancora un lungo percorso da seguire in merito alla tutela del marchio. In considerazione della sempre maggiore pervasività delle aziende italiane nel digitale e della portata economica e sociale del fenomeno, è auspicabile aspettarsi un sollecito intervento da parte del Legislatore, che discerna le peculiarità tra marchi digitali e tradizionali, adeguando la normativa in funzione delle suddette differenze.

Categorie: Lavoro

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